Friday, November 26, 2004

Ah, dimenticavo...

Già dimenticavo di rispondere alla domanda: ma non dovevi essere a Roma per lavoro?

Ebbene, come si dice(va) dalle mie parti, me la sono scapoliata, inventandomi la più sonoramente platealmente palesemente finta delle scuse, cioè mia figlia. Ripeto: inventandomi.

Bisognerà ritornare su questo evento. Vagamente ricordo me stessa fare a moue of distaste al solo pensiero di farlo. Accompagnato da un allarmante pensiero sull'inizio della fine. Ora che l'ho veramente fatto, non mi frega granché, e riflettevo ieri sul fatto di essere perfettamente in pace con me stessa, anzi, assolutamente relieved. Vuoi mettere il risveglio di stamattina, con Mark adorante (continuo naturalmente a chiedermi il motivo di tale adorazione), caffé e truffle, nel calduccio della casa pratese, con la sveglia gracidante di Roma, il freddo, la perturbante sensazione di fifa, la ricerca del miglior mezzo per arrivare in culo al mondo, e il passare le ore con gentildonne della fatta di certe mie colleghe?
Ma quanto sono stata BRAVA.

Sproloqui

Per un attimo ho pensato di traslocare. Ho anche creato un nuovo blog. Questo però a conti fatti continua a piacermi di più, quindi rimango qui. È anche molto meno prone to intrusiveness. Che mi frega se poi mi leggono o meno? Dove sto adesso, devo capitare l'italiano schiffarato. Nell'altro sito sono alla mercé di tutti. E alcuni blogs sono molto carini, ma altri...manteniamoci sul vago, diciamo che non lo sono. Poi tutto è opinabile. Ormai è chiaro che impazza il concetto di "raccontiamoci sopra". Me compresa, naturalmente.

Wednesday, November 24, 2004

Gioie

Non è possibile che ogni notte mi venga voglia di cancellare questo blog e ogni mattina mi venga voglia di scriverne un pezzo...
Serata malefica passata a stirare un montagna di panni mentre Mark passava in scansione (scusate ma scannerizzare continua a farmi venire i brividi) tutto il cricket su Internet.
Ah, le gioie del matrimonio!

Tuesday, November 23, 2004

È stato un weekend un po' frenetico, ma mi accorgo solo adesso di quanto l'avessi desiderato. La casa a Roma è sempre più polverosa e ingombrata da mille pacchi e buste e valigie. Chiara ci mette il suo posizionando sul pavimento, in ordine sparso, tutti i giocattoli o pseudo-giocattoli che riesce a trovare, nel giro di dieci secondi. E quel cazzo di TV sempre accesa con i Teletubbies. La prima parola di mia figlia ieri mattina, appena sveglia: "Teletubbies". Stiamo praticamente facendo di tutto per farla diventare un'ameba decerebrata degna spettatrice televisiva. Per farmi forza mi dico che fin dalla più tenera età tratta libri e carta stampata con molto rispetto, non ha (quasi) mai strappato un pezzo di carta e sfoglia tomi con levità, grazia e indiscutibile interesse.

Sabato mattina partenza in macchina. Grazie alla mia lungimirante deficienza quattro fermate estemporanee per figlia vomitante la qualsiasi. Bestemmie atipiche per far sì che la bambina non ripeta o comunque, se ripeterà, la cosa susciti ilarità e non scandalo. Meno male che avevo tre cambi nello zaino.

Arriviamo a casa con Mark in fibrillazione, ma lo capisco: è sempre stato così quando deve incontrare suo fratello, e mi dispiace non poterlo accompagnare anche se in fondo in fondo mi lascio scappare un sospiro di sollievo, perché quattro adulti (di cui tre oltre gli 80 chili) + bambina in una Y10 che sta per entrare nell'undicesimo anno di vita mi sembrano francamente troppi. Resto in casa a cercare di mettere a posto, cazzeggiando e ingollando antistaminici nella vana speranza di frenare l'immane risposta anticorpale del mio organismo.

Quando usciamo per andare al ristorante, il freddo è pungente e un po' umido, ma sono ben coperta e mi fa un baffo. Non abbiamo il motorino, ma un ballonzolante autobus nella migliore tradizione romana: apparentemente privo di sospensioni e guidato a singhiozzi dall'autista.

Cerco con la testa di rituffarmi indietro, nella mia storia con Mark: gli indico con la testa l'orribile ristorante argentino dove mangiammo la seconda o forse terza volta che mi trovavo a Roma, il mio sguardo passa sulle stradine che ci racchiudevano mentre le attraversavamo, mano nella mano. Io sentivo il rumore dei miei stivali. C'era lo stesso freddo, o anche di più. Quelle sensazioni mi sfuggono. Rimane solo il rimpianto di non provarle più.

Ma l'incontro con Simon e Mark T mi fa bene, e in quella full immersion di inglese mi ritrovo, e la serata passa in fretta, riesco anche a conversare amabilmente, malgrado le mie orecchie ricevano più confusione che sillabe comprensibili. Io e Mark non ci scambiamo neanche le vivande - comunque abbiamo scelto lo stesso primo - e non so quante volte il suo sguardo si sia posato su di me. Io non ricordo di averlo guardato come lo guardavo quattro anni fa. A casa di Christopher, poco prima di sposarci, riuscivo a sentire la presenza fisica dell'attrazione fra di noi, e sicuramente la sentivano tutti gli altri. Che tristezza, che tristezza. Solo adesso ci penso e mi sento male.

Che fine sta facendo il mio matrimonio, anzi, la mia vita insieme a Mark?

Tuesday, November 16, 2004

Non mi riesce molto bene, scrivere questo blog. Forse dovrei davvero ritornare alla carta e penna, sicuramente ci metterei molto più tempo ma forse sarebbe un esercizio molto più salutare per i miei neuroni.
Ho da circa dieci anni ormai questo convincimento, cioè quello di essere schiavizzata dal computer e dalla sua velocità. Nonostante questo uso continuo, poi, non riesco ad assimilare veramente nulla che venga da me letto sullo schermo di un computer. Diciamo pure che ho qualche difficoltà anche con la carta stampata: nei momenti di maggiore stress mi riesce difficile anche la pagina di un giornale...la mia mente si perde nei meandri delle mie paturnie e non ne esce più, e io arrivo a fine articolo e non ci ho capito un cazzo. Stessa cosa dicasi per i libri: ormai devo leggere qualcosa che ne valga la pena, altrimenti usare un libro o un potente sonnifero per me è lo stesso. Ultimamente solo Cordwainer Smith mi ha dato un brivido. Adesso sto leggendo l'ultimo di Elizabeth George, e sono un po' dolori, e si sviluppa anche la sindrome da vicious circle: ve l'immaginate voi leggere un giallo in questo modo, con intere pagine passate allo scanner dei miei occhi senza che capisca una beneamata mazza di quello che leggo? La storia va tutta a puttane, e di conseguenza l'interesse va scemando sempre più, in un crescendo di incoerenza e confusione. Inglese, italiano...fa lo stesso.
'Sta cosa, dicevo, mi dura da tantissimi anni, e non so se attribuirla al decadimento cerebrale di cui mi sento decisamente vittima -- e come non potrei non farlo, se faccio un paragone con la rutilanza delle mie facoltà mentali durante i miei anni di studio? -- oppure solo a una questione psicologica e non organica. Se fosse esatta quest'ultima ipotesi, dovrei cominciare seriamente a considerare la necessità di elargire i miei soldi a qualche shrink. Se invece la prima possibilità dovesse essere quella giusta, allora le cose diventerebbero più problematiche riguardo all'identificazione delle cause. Io ci metterei anche il mio lavoro al computer, per quanto questo mi sappia di luddismo stonecold, però che ci posso fare?, ho questa forte impressione.
Ho tra l'altro un forte craving che mi prende quando la mattina mi sveglio. Adesso, per esempio: sono le 8 e mezza e sono qui davanti al computer. D'accordo, sto facendo una cosa che mi va di fare, però sono anche leggermente incazzata, perché potrei farla davanti a un quaderno e con una penna in mano. Va bene, non sarei così veloce, non riuscirei a seguire i miei pensieri così rapidamente ed efficacemente come faccio con una tastiera. Non riuscirei neanche a fare un editing decente dei miei pensieri. Però sarei più autentica, più naturale. Il mio pensiero non si infrangerebbe contro la plastica, ma seguirebbe l'ondeggiare dell'inchiostro sulla carta, si prolungherebbe naturalmente su di essa. In poche parole, mi farebbe molto più bene. Alla mente, al cuore, agli occhi.
Non abbiamo fatto niente di particolarmente eccitante nello scorso weekend, ad eccezione di una puntatina nella Chinatown di Prato, il che mi piace sempre tanto. La giornata era bella anche se molto ventosa, Chiara in stato di grazia, Mark molto affettuoso, io discretamente on the loving side, abbiamo fatto bisboccia di roba cinese come i pazzi, andando a finire in questa rosticceria dove vendono davvero the real thing. Poi domenica sera abbiamo avuto a cena un ennesimo ospite "international", per la gioia di Chiara che sta ridiventando, con sollievo devo dire, molto socievole. Non so perché -- anzi, il perché lo so, ma è sordido, quindi non intendo scavare a fondo -- ma mi ero immaginata questa Ano come una stunning blonde di quelle per cui Mark sbaverebbe. Invece era una ragazza abbastanza anonima, timida quanto basta, dall'aria molto innocua, decisamente poco articolate in inglese (non capisco Mark quando mi fa notare che il mio inglese perde colpi e poi definisce gente così "fluent"...).
Da oggi sono ridiventata disoccupata, ma potrei cominciare a prepararmi per il convegno. A proposito, nessuna notizia. Resto nel mio convicincimento che la tipa abbia combinato un gran casino con le persone che ha chiamato...a me importa ben poco, l'importante è che mi dica che devo fare, the sooner the better.
In compenso è arrivato un po' di ossigeno in banca: due pagamenti, entrambi inattesi. Restano in sospeso numerosi altri. Devo preparare altre fatture.
Vorrei dire tante altre cose ma adesso non ce la faccio. Se continuo ad alzarmi alle sette forse riuscirò a farlo.

Friday, November 12, 2004

Non ho tempo, non ho tempo, né per me mé per altri, sono alle prese con questo copione del cazzo con questi americanazzi scafati che parlano a manetta e ad ogni frase non sai se parlano sempre di buchi ed ero oppure magari la loro vita ha qualche altra finalità segreta che io non riesco a intravedere. Il peggio è che neanche Mark riesce a sondare questo insondabile. Mi sa che mi tengo sul vago. ODIO mantenermi sul vago! Non è professionale (ha!) ma soprattutto mi fa andare in bestia. Poi è una di quelle cose che fra i veri addetti ai lavori (e ahimé il mio cliente ne ha qualcuna niente male) salta all'occhio come niente...in questi casi è meglio la collaborazione stretta, sient'ammè...del resto dubito che anche loro ci capiscano qualcosa.
La storia è davvero un coacervo di misfortunes fra questi hobos che viaggiano su e giù per l'America by courtesy (si fa per dire) delle varie compagnie ferroviarie: c'è chi si inciucca, chi si buca, chi racconta cazzate a manetta - storie di combattimenti all'ultimo sangue nel Vietnam senza però esserci mai stato - chi parla coi cani (e bene fa), chi dà lezioni di amicizia, chi guadagna soldi e se li spara in minchiate, chi fa car crashes allucinanti, perfino chi si innamora e chi fa figli. C'è anche chi viene lasciato dall'amata e chi muore, of course. La Vecchia Signora dal Sorriso è sempre presente, in storie come queste.
Un bella botta di vita per me che ho il culo appiccicato su questa orribile ma costosissima sedia di plastica, scomoda come lo possono essere soltanto le costosissme sedie di plastica con tanto di nome del designer sul retro.
Va', va' che mi vado a rifare la vita (quella fra fianchi e busto, per intenderci) in palestra.
Anna mi messaggia dalla Germania in preda all'isteria, Sara ha un'infezione intestinale e lei è ritornata al suo ruolo di round-the-clock mama. Hai voluto il nido? Adesso beccati un annetto di svariate infezioni. Leggi dell'immunologia. Non c'è miglior terreno di coltura per i bugs che un bell'asilo nido dove decine di bambini si scambiano reciprocamente i mocci.
Sembra che io e le mie amiche ormai non facciamo altro che parlare delle nostre figlie. Domenica scorsa è venuta Daniela e non abbiamo fatto altro che parlare di nidi, lettini, pasti, vestitini...e pensare che solo quattro anni e mezzo fa mi trovavo con lei in un ristorante kosher, al riparo da una gelida notte fiorentina, e certo a tutto potevamo pensare tranne che a questa fine.
Comu n'arriduciemmo...
Ah, dovrei lavorare venerdì 26 a Roma. Gentile concessione di chi vorrebbe entrare a far parte dell'Olimpo (???) dopo anni passati a sputtanarsi e a fottere lavoro stariffando. Così va il mondo. Le stariffatrici prosperano e adesso ti offrono anche il lavoro. Tu, che sei stata deontologicamente perfetta fino al costo della fame - letteralmente parlando - sei naturalmente costretta ad accettare. Fanculo.

Tuesday, November 09, 2004

Pledge

Certo che se continuo così di questo passo mi verrà la voglia di premere il pulsante "delete this blog" e buonanotte. Il fatto è che per me è impossibile mettermi davanti al computer la sera tardi, o a notte fonda, come suppongo che faccia la maggior parte della popolazione dei blogger, semplicemente perché il mio profilo non è certamente conforme a quello della maggior parte della popolazione dei blogger. Sono una madre di famiglia, io. E per di più il computer rappresenta il mio mezzo di produzione, per cui alla fine della giornata, quando stacco intorno alle 6, del computer ho le palle così piene che l'idea di mettermici davanti ancora mi fa venire da vomitare. Meglio strappare qualche mezz'ora al lavoro la mattina, tanto sono il boss di me stessa e nessuno mi può rompere le palle (bella questa nuova definizione che ho dato del mio lavoro di traduttrice-interprete free-lance: il boss di me stessa; dovrei ripetermela più volte stile mantra quando mi accorgo che la gente non mi paga da un anno - a proposito, devo telefonare a quegli stronzi di Catania - o quando l'idea di andare in ferie diventa una fonte di ansia pazzesca di fronte a tutti quei giorni senza reddito...)

Vediamo se posso magari approfittare di questa mezz'ora per fare un blog, almeno cinque giorni alla settimana. Un blog con orari da ufficio. 10am-6pm, Mon-Fri.

Qui a Prato è improvvisamente arrivato il freddo, un freddo da 5° alle 9 di mattina. L'ho presa davvero male, strano per una come me che al freddo non ci ha mai fatto tanto caso. Forse sarà perché ho ancora la roba davvero pesante a Roma. Forse?
Un VERO problema della vita matrimoniale, anzi, a tre - cioè con prole inclusa - è che alla fine dei conti non puoi programmarti la vita come cazzo ti pare. Detta così sembra una banalità pazzesca - la mancanza di libertà totale in questo senso è probabilmente un caposaldo del matrimonio - ma quando la provi sulla tua pelle, e soprattutto non hai più il contraltare del rapporto idilliaco con l'amato/a, ti fermi per un attimo a considerare con più attenzione le ragioni che ti hanno spinto al fatidico passo. Ti chiedi se, con l'aumento - inevitabile? - delle frustrazioni e delle limitazioni e delle oppressioni e l'affiochimento - inevitabile anche questo? - del desiderio, della volontà e delle forze, prima o poi non andrà tutto a puttane.

Se uno si lasciasse prendere dallo scoramento probabilmente mollerebbe tutto alla prima difficoltà, alla prima sensazione di limitatezza. Sarà vigliaccheria o coraggio, il fatto di continuare? E se continui, lo fai facendo finta di non vedere o avendo un quadro ben preciso di quello che non va? [Cioè, in altri termini, vigliaccheria o coraggio]
Non lo so perché continuo. Forse perché, a conti fatti, quello che ho adesso è decisamente molto migliore di quello che avevo prima.
Ma certe volte non è ancora abbastanza.