Tuesday, May 10, 2005

Riflessioni su NYC

Sono ritornata.
Avrei voluto bloggare da quelle parti, ma non era molto fattibile: uscivamo la mattina per tornare il pomeriggio o la sera e non sarebbe stato proprio edificante mettersi davanti al computer per cercare di mettere insieme quattro parole. Meglio passare il resto della giornata a fare altro, francamente.
Sono stati dieci giorni molto intensi e pieni di belle cose da vedere. Dentro di me avevo immagini di Edith Warton, Taxi Driver -- in pratica Scorsese. Ma si sa, io sono fatta così: o libri o film, e la realtà pura passa attraverso di loro.
Il Met, il MoMA, il Guggenheim...che delusione, ti aspetti questa spirale liscia e specchiata, quasi dovesse essere di acciaio piuttosto che di cemento, e la trovi disuniforme, addirittura quasi un po' scabra, con quelle patacche di consolidamento di un altro colore, e l'arripizzamento ti sembra un sacrilegio. E sì che di annetti ormai ne ha parecchi, come volevi che fosse? Se anche Falling Water sta cadendo a pezzi...
A Ground Zero si respira un'aria di morte. Ma è tutto così stonato, la francamente eccessiva povertà del "tributo", in termini materiali -- quattro tabelloni scarni, in attesa della costruzione di un permanent memorial -- fa a botte con l'orribile ovvietà della retorica americana, e a chi la guerra l'ha avuta "in casa" più di una volta sola (penso a mia madre a Trieste, immagino i parenti di Mark a Hong Kong). onestamente tutta questa prosopopea appare leggermente irritante. Definire 9/11 come "the Day the World Changed" mi fa incazzare come una bestia. Sì, il mondo sarà cambiato, ma solo per loro. Loro, che la guerra l'hanno sempre esportata altrove, che parlano di poveri civili inermi. Cazzo, hanno sempre questo candore disarmante, quello che succede a loro deve per forza fare colpo, quello che succede in altri paesi non gli è mai interessato più di tanto.
Ma se vai a Battery Park e ti trovi faccia a faccia con la "Sphere" che stava nella World Trade Center plaza ti rendi conto della tragedia vera.